Il ghostwriting è legale?
Non ti pesa non vedere il tuo nome sulla copertina dei libri che scrivi?
Ma come fai a scrivere al posto di un’altra persona?
Queste sono alcune delle domande che mi sono sentita rivolgere più spesso da quando ho iniziato a lavorare come ghostwriter!
Questa professione è oggetto di tanti pregiudizi e falsi miti, e oggi voglio analizzare i più comuni, svelandoti come stanno realmente le cose. Buona lettura!
Pregiudizio n°1: “il ghostwriting non è etico perché inganna il lettore”
Uno dei pregiudizi sul ghostwriting più diffusi è che sia una pratica non etica. Anzi, che sia ingannevole verso il lettore! Secondo questa prospettiva (distorta), il ghostwriter sarebbe una sorta di “impostore”, e la persona che si affida al ghostwriter ingannerebbe a sua volta il pubblico firmando un lavoro non suo.
Ma questo pregiudizio non tiene conto di una distinzione essenziale: quella tra autore e scrittore.
Spesso, infatti, soprattutto nei libri non fiction, autore e scrittore non sono la stessa persona, e questo è un po’ il segreto di Pulcinella.
Hai presente tutti i libri scritti da influencer, imprenditori, politici, sportivi e celebrities? Questi personaggi hanno già il loro gran da fare per mantenere posizioni di eccellenza nei rispettivi settori: pretendere che siano anche in grado di scrivere dei best seller sarebbe un tantino eccessivo!
Nel caso dei politici, poi, è noto che ci sono dei ghostwriter dietro ai loro discorsi più importanti.
Tutte queste persone hanno una storia, degli aneddoti, delle idee, qualcosa di forte da raccontare e che interessa un vasto pubblico: ecco perché hanno bisogno di un professionista della scrittura che li aiuti a mettere tutto ciò “su carta”. In questi casi, lo scrittore che scrive per conto dell’autore mette in gioco la sua professionalità e la sua competenza in ambito di scrittura ed editoria per raccontare la storia dell’autore che la firma, perché è la SUA storia.
In alcuni casi, il nome dello scrittore compare in copertina come collaboratore – pratica diffusa soprattutto nel mondo anglossassone – in molti altri, lavora come ghostwriter. Dipende dagli accordi editoriali. In ogni caso, il valore del prodotto finale non risiede solo nel nome che compare in copertina, ma nell’impatto che il libro può avere sul pubblico.
Il pregiudizio secondo cui il ghostwriting sarebbe ingannevole, quindi, non riflette la complessità del ghostwriting e soprattutto non tiene conto del fatto che la creazione di un libro è spesso un processo collaborativo. Dietro ogni opera ci può essere un team di professionisti che lavorano insieme per portare alla luce una storia – un team che include consulenti, editor, e sì, anche ghostwriter.
Non dimentichiamo, inoltre, che la relazione tra un ghostwriter e il suo cliente si fonda su un accordo consensuale che prevede clausole di riservatezza e termini che proteggono sia lo scrittore su commissione sia il cliente. Entrambe le parti sono a conoscenza del ruolo che svolgeranno nel processo di scrittura e della natura della collaborazione, e un ghostwriter professionista opera con un alto livello di trasparenza e integrità.
Infine, ecco un’altra verità fondamentale: il ghostwriting risponde a una domanda di mercato. Ci sono tantissimi autori che hanno idee brillanti o storie importanti da condividere, ma non hanno il tempo o le abilità necessarie per scrivere un libro. È qui che entra in scena il ghostwriter. Nel mercato editoriale, la presenza dei ghostwriter permette di arricchire il panorama letterario con opere che altrimenti non vedrebbero mai la luce. Il contributo dei ghostwriter è cruciale per l’industria e per i lettori, che beneficiano di un’offerta editoriale più ampia e diversificata.
Pregiudizio n°2: “i ghostwriter non sono dei veri scrittori”
Tra i più diffusi pregiudizi sul ghostwriting c’è anche quello che i ghostwriter non sarebbero dei “veri scrittori” perché non compaiono come autori ufficiali delle opere che redigono. Questo pregiudizio è radicato nella percezione che solo chi pubblica opere a proprio nome meriti il titolo di “scrittore”. Ma, paradossalmente, nel caso del ghostwriting vale il contrario: il ghostwriter mette in gioco proprio la sua competenza ed esperienza nella scrittura per “tirare fuori” la storia dell’autore che firmerà il libro.
Per attuare questo processo a tutti gli effetti maieutico, iI ghostwriter deve avere non solo una profonda capacità di scrittura e una grande abilità narrativaa, ma deve anche saper adottare diversi stili e toni di voce, adeguandosi alla storia e al cliente. Tutte queste caratteristiche definiscono uno scrittore, indipendentemente dal fatto che il suo nome appaia sulla copertina di un libro.
I ghostwriter, quindi, sono scrittori a pieno titolo. Non a caso, l’identikit del ghostwriter professionista prevede che uno scrittore su commissione abbia una solida esperienza nel campo della letteratura, del giornalismo o della comunicazione.
Il pregiudizio che il ghostwriter, poi, possa “soffrire” nel non vedere il suo nome sulla copertina di un’opera si fonda sull’assunzione che la visibilità sia l’unico riconoscimento valido per chi scrive, ma ciò che muove il lavoro del ghostwriter va oltre questo aspetto. Nel mio caso, ad esempio, la molla che mi spinge è sempre la curiosità verso le storie degli altri: sono convinta che ognuno di noi abbia una storia interessante e d’ispirazione da raccontare agli altri, e amo aiutare le persone in questo processo.
Infine, non dimentichiamo un’altra cosa: sono pochissimi gli autori italiani che vivono (ovvero: guadagnano abbastanza) solo grazie alla pubblicazione dei propri libri. Quasi tutti gli autori che pubblicano libri a loro nome non fanno soltanto gli scrittori, o comunque non solo gli scrittori di libri. Molti portano avanti parallelamente altri lavori, insegnano nelle scuole di scrittura, scrivono come giornalisti, si occupano di comunicazione a vario titolo… o fanno i ghostwriter per altri autori!
I ghostwriter, quindi, mettono in atto una scelta professionale consapevole. Ognuno vive di scrittura nel modo che preferisce.
Pregiudizio n°3: “il ghostwriter scrive il libro al posto dell’autore”
Ecco un altro pregiudizio sul ghostwriting molto diffuso: quello che il ghostwriter scriva il libro al posto dell’autore, sostituendosi del tutto. Ma come abbiamo visto sopra, le cose non funzionano proprio così, o quanto meno non funzionano così quando si lavora in modo professionale!
Questo pregiudizio nasconde una semplificazione e una mancanza di comprensione di ciò che realmente comporta il ghostwriting. La visione riduttiva che il ghostwriter sia semplicemente un sostituto – una sorta di stuntman o stuntwoman della scrittura! – non coglie la natura collaborativa del processo.
Il ghostwriter è un professionista che aiuta un altro professionista a portare al mondo il suo messaggio attraverso un libro. Il cliente non è passivo, ma fornisce la visione, la storia e l’ispirazione, mentre il ghostwriter presta la sua abilità nel dare forma narrativa a questi elementi con una scrittura professionale e coinvolgente. L’essenza del libro, il suo cuore pulsante, rimane – deve rimanere – sempre legato alla voce e all’esperienza dell’autore. Il ghostwriter non scrive quindi al posto dell’autore, ma insieme all’autore, in un partenariato creativo che ha lo scopo di produrre un’opera che risuoni con i lettori, nel rispetto della visione originale.
Spero che questo articolo abbia spazzato via i più comuni pregiudizi sul ghostwriting e ti abbia permesso di avere le idee più chiare su cosa significa collaborare con un ghostwriter.
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